L’uso consapevole della tecnologia significa utilizzare gli strumenti tecnologici in modo responsabile e riflessivo, essere consapevoli del tempo trascorso online e delle informazioni che si condividono sui social media, il rispetto della privacy altrui e la protezione dei propri dati personali.
Recentemente sono stato ospite di Linda Riolo e del suo podcast Pensieri e parole, rivolto a tutti coloro che vogliono migliorare il proprio italiano. Linda mi ha fatto alcune domande sul mio percorso personale e su come trovare il proprio equilibrio digitale, con l’uso consapevole della tecnologia.
Muoviti nella tua città senza l’uso di app di navigazione. Non ne hai bisogno.
🚗 Il problema
Una delle app di cui non riusciamo a fare a meno è quella delle mappe. Troppo comodo e troppo facile inserire la destinazione e lasciarsi guidare. Eppure il più delle volte sappiamo già dove andare, se ci muoviamo in un ambiente conosciuto, come la nostra città.
🚶♀️ Cosa fare
Il primo passo è renderti consapevole che non ne hai bisogno. Il secondo è farne a meno, con un effetto collaterale positivo. Il non dover tenere gli occhi sullo schermo ti farà apprezzare di più ciò che ti circonda, l’architettura dei palazzi, l’azzurro del cielo. I tuoi sensi ne usciranno amplificati.
🧭 La soluzione
Lascia il telefono in tasca ogni qual volta ti trovi a muoverti nel territorio della tua città. Se vivi in una metropoli e ti avventuri in territori inesplorati o hai cambiato da poco città dove vivere o lavorare, consulta l’app prima di partire, per avere un’idea di dove andare e poi rimettila in tasca.
Usa un servizio dedicato per aggregare e leggere le tue newsletter preferite, fuori dalla casella di posta
🧨 Il problema
Le newsletter sono un sistema pratico e funzionale per impacchettare contenuti e distribuirli. Basta inserire il proprio indirizzo di posta elettronica e arrivano automaticamente notizie, articoli, suggerimenti, informazioni, link e altre meraviglie. Peccato che, essendo il tutto gratis, è facile finire per abbonarsi a tante newsletter, troppe, e perdere di vista le email che contano, anche su Gmail.
🪂 Cosa fare
L’ideale sarebbe avere un indirizzo di posta separato, dove ricevere solo le newsletter. In questo modo i flussi si separano e non vieni distratto dalla tentazione di leggere quella nuova succosa newsletter che ti è appena stata recapitata.
⚡ La soluzione
Invece di dover gestire più indirizzi di posta si può utilizzare un servizio dedicato come Stoop inbox. Invece della tua vecchia email avrai una email@stoopinbox.com con cui abbonarti e potrai leggere i messaggi attraverso una pagina web o un’app dedicata per smartphone, iPhone o Android. Le funzioni base sono gratuite.
Scrivere email e documenti è un gioco di algoritmi. Non sono d’accordo, ma è questo quello che pensa Google, quando promuove come una meraviglia l’evoluzione del suo algoritmo predittivo che ti aiuta, anzi ti anticipa nello scegliere le parole con cui rispondere a una email o nello scrivere un documento. Si tratta veramente di una meraviglia o possiamo immaginare un futuro in cui essere più veloci non è l’unico obiettivo da raggiungere?
Imparare a scrivere da 1,4 miliardi di persone
L’immensa capacità di calcolo di cui Google (e non solo Google) dispone viene sviluppata per cercare soluzioni a problemi che neanche pensavamo di avere, come lo scrivere una email più velocemente. Da qualche anno chi usa Gmail ha a disposizione una funzione per rispondere al messaggio ricevuto, con una risposta veloce preconfezionata. Queste opzioni sono il frutto dell’analisi delle email inviate e ricevute da 1,4 miliardi di utenti (anche le tue, se usi Gmail e probabilmente le mie, quando scrivo io al tuo indirizzo). L’analisi dei comportamenti più comuni e ricorrenti, nel rispetto assoluto della privacy e dell’anonimato, ha permesso a Google di suggerire parole e far risparmiare agli utenti un miliardo di battute solo nel 2018. Oggi probabilmente molte di più. A quale prezzo?
L’algoritmo è una scatola oscura
Gli interrogativi che un servizio simile pone sono vari. Alla base di tutti c’è l’oscurità con cui l’algoritmo è stato sviluppato. Un algoritmo è una ricetta e sta a chi la definisce stabilire gli obiettivi e controllarne i risultati. A volte, come per le raccomandazioni di YouTube che finiscono per premiare video complottisti, la ricetta promuove valori imprevisti, perché uno è l’obiettivo prevalente su ogni altro: aumentare il tempo passato dall’utente sul servizio o, nel caso di Gmail, la sua frequenza d’uso.
È legittimo quindi, considerando l’impatto sociale di un servizio usato da oltre un miliardo di persone, chiedere maggiore trasparenza. Se non sulla ricetta segreta che può essere copiata dai concorrenti – ma non esistono i brevetti a tale scopo? – almeno sugli obiettivi di chi sviluppa l’algoritmo predittivo. Ufficialmente per Google l’obiettivo è aumentare la velocità con cui gli utenti scrivono documenti e rispondo a email. Gli effetti collaterali – semplificazione della lingua, povertà di lessico, risposte brevi e veloci in un batti e ribatti controproducente – non sono misurati e neanche contrastati. Non pubblicamente.
Meno veloci e più empatici?
Se la produttività non fosse l’unico mantra che gli algoritmi dovessero promuovere? Ci sono altri vantaggi che l’algoritmo potrebbe aiutarci a perseguire? Crystal Chokshi sul magazine Real life ne individua più di uno.
Ipotizzare che nell’anniversario della madre di un amico il sistema ce lo ricordi e ci permetta di scrivere oltre le risposte brevi oggi suggerite? Se la scrittura non fosse semplice matematica ma un sistema di comunicazione tra persone, in cui l’empatia fosse un valore da promuovere? Magari un suggerimento diverso potrebbe promuovere un maggiore senso di comunità, dare più valore alle relazioni? Se l’algoritmo fosse veramente intelligente ed efficiente queste sono alcuni dei suggerimenti che avrebbe senso ricevere.
Il tempo è prezioso ma le relazioni personali di più
Un algoritmo, ridotto agli elementi essenziali che lo caratterizzano, promuove un modello di società. La visione del mondo di chi lo sviluppa entra nell’algoritmo, in maniera conscia o meno. Pretendere che i valori promossi vengano dibattuti pubblicamente è un diritto di noi utenti. C’è chi la chiama algotrasparenza.
Usa un servizio di gestione delle password (password manager) così da non doverle ricordare ogni volta
😫 Il problema
Ogni servizio a cui ti registri – RaiPlay, Twitter, la posta elettronica – ti richiede di impostare una password, che poi ti devi segnare, riprendere, trascrivere. A meno che la tua memoria sia tale da ricordare tutte le password. Uno dei problemi è che per non impazzire finisci per usare la stessa password per tutti i servizi. Peccato che in questo modo ti esponi a forti rischi che un malintenzionato possa entrare nel tuo profilo o nel servizio che contiene dati personali per usarli a proprio vantaggio o, peggio ancora per distruggerli a meno che tu non paghi un riscatto.
🔨 Cosa fare
La soluzione più semplice è fare uso, sul computer e sullo smartphone, di un servizio di gestione delle password. Scegli una password lunga e forte per questo servizio e sarà questa l’unica password che dovrai ricordare. Tutte le altre saranno contenute al suo interno e potrai recuperarle in pochi passaggi, ogni volta che ne avrai bisogno.
💥 La soluzione
Il servizio che ti consiglio è BitWarden, gratuito, funzionalee disponibile per tutte le principali piattaforme, ma puoi scegliere quello che ti piace di più.